Lorenzo De' Medici

 

TRIPUDIO DELLA POESIA


LA CULTURA UMANISTICO-RINASCIMENTALE
 1400-1550

LORENZO DE'MEDICI 

LORENZO DE' MEDICI (1449-1492), DETTO IL MAGNIFICO, GOVERNÒ FIRENZE DAL 1469, GARANTENDO IL RISPETTO FORMALE DELLE ISTITUZIONI COMUNALI DEMOCRATICHE, ANCHE SE DI FATTO LE ESAUTERÒ, ACCENTRANDO IN SÈ TUTTO IL POTERE. IN POLITICA ESTERA, PRATICÒ UNA STRATEGIA DI ALLEANZE, CHE LO PORTÒ  A ESSERE IL PERNO DELL'EQUILIBRIO VENUTOSI A COSTITUIRE FRA GLI STATI D'ITALIA. PER QUANTO RIGUARDA LA SUA PRODUZIONE LETTERARIA, AL PERIODO GIOVANILE RISALE LA NENCIA DA BARBERINO (1473), GUSTOSO IDILLIO RUSTICANO IN CUI IL POETA SI FINGE PASTORE E LODA CON LA FRESCA IMMEDIATEZZA DI UN POPOLANO LE BELLEZZE DELLA SUA DONNA. UN'ATMOSFERA DI MALINCONIA SI LEGGE NELLE OPERE DELLA MATURITÀ, COME LE CANZONI A BALLO E I CANTI CARNIVALESCHI, FRA I QUALI SI RICORDA IL NOTISSIMO TRIONFO DI BACCO E ARIANNA CHE ESPRIME LA FUGACITÀ DELLA VITA. (DeA)


LORENZO DE' MEDICI

NENCIA DA BARBERINO[ torna al menu ]

1
Ardo d'amore e conviemme cantare
per una dama che me strugge el cuore,
ch'ogni otta ch'i' la sento ricordare
el cuor me brilla e par che gl'esca fuore.
Ella non truova de bellezze pare,
cogli occhi gitta fiaccole d'amore;
i' sono stato in città e 'n castella
e mai ne vidi ignuna tanto bella.

brucio d'amore e devo cantare per una donna che mi strugge il cuore, poiché ogni volta che sento parlare di lei il cuore mi palpita e sembra uscire fuori dal petto. nessuna donna è pari a lei in bellezza, lei getta fiaccole d'amore dagli occhi; io sono stato in città e castelli e non ne ho mai vista un'altra bella quanto lei.

2
I' sono stato a Empoli al mercato,
a Prato, a Monticelli, a San Casciano,
a Colle, a Poggibonzi, e San Donato,
a Grieve e quinamonte a Decomano;
Fegghine e Castelfranco ho ricercato,
San Piero, e 'l Borgo e Mangone e Gagliano:
più bel mercato ch'entro 'l mondo sia
è Barberin dov'è la Nencia mia.

io sono stato al mercato di empoli, a prato, a monticelli, a s. casciano, a colle val d'elsa, a poggibonsi, a s. donato, a greve e quassù in montagna a dicomano; ho cercato a filigne e castelfranco, s. pietro, borgo s. lorenzo, mangona e galliano: ma il più bel mercato che ci sia al mondo è barberino, dove si trova la mia nencia.

3
Non vidi mai fanciulla tanto onesta,
né tanto saviamente rilevata;
non vidi mai la più leggiadra testa,
né sì lucente, né sì ben quadrata;
con quelle ciglia che pare una festa,
quand'ella l'alza ched ella me guata;
entro quel mezzo è 'l naso tanto bello,
che par proprio bucato col succhiello.

non ho mai visto una fanciulla altrettanto dignitosa, né scolpita  [fattaaltrettanto bene; non ho mai visto una testa più bella, o più lucente o così ben proporzionata; con quelle ciglia, quando le solleva per guardarmi, sembra una festa; al centro del viso il naso è così bello che sembra fatto col succhiello.

4
Le labbra rosse paion de corallo,
e havvi drento duo filar' de denti
che son più bianchi che que' del cavallo:
da ogni lato ve n'ha più de venti.
Le gote bianche paion de cristallo,
senz'altro liscio, né scorticamenti,
rosse entro 'l mezzo, quant'è una rosa,
che non se vide mai sì bella cosa.

le sue labbra rosse sembrano di corallo, e dentro ci sono due file di denti che sono più bianchi di quelli di un cavallo: da ogni lato ne ha più di venti. le sue guance bianche sembrano di cristallo, senza bisogno di altro belletto, rosse nel mezzo quanto lo è una rosa, infatti non si è mai vista una creatura altrettanto bella.

5
Ell'ha quegli occhi tanto rubacuori,
che la trafiggere' con egli un muro;
chiunch'ella guata convien che 'nnamori,
ma ella ha 'l cuore com'un ciottol duro,
e sempre ha drieto un migliaio d'amadori,
che da quegli occhi tutti presi furo;
la se rivolge e guata questo e quello:
i', per guatalla, me struggo el cervello.

Lei ha quegli occhi così capaci di rubare il cuore che con essi potrebbe trafiggere un muro; chiunque ella guardi deve innamorarsi, ma lei ha il cuore duro come un ciottolo e dietro di sé ha sempre mille spasimanti, tutti presi da quegli occhi; lei si guarda intorno e fissa questo e quello: io, per guardarla, esco di senno.

6
La m'ha sì concio e 'n modo governato,
ch'i' più non posso maneggiar marrone;
e hamme drento sì ravviluppato,
ch'i' non ho forza de 'nghiottir boccone;
i' son com'un graticcio deventato,
e solamente per le passïone
ch'i' ho per lei nel cuore (eppur sopportole!),
la m'ha legato con cento ritortole.

Mi ha conciato e ridotto in tale stato che non posso più maneggiare la zappa; e mi ha così scombussolato dentro che non posso più mangiare niente; sono diventato magro come un graticcio, e solo per la passione che ho nel cuore per lei mi ha legato con cento corde (eppure le sopporto!).

7
Ella potrebbe andare al paragone
tra un migghiaio de belle cittadine,
che l'apparisce ben tra le persone
co' suo begghi atti e dolce paroline;
l'ha ghi occhi suoi più neri ch'un carbone
di sotto a quelle trecce biondelline,
e ricciute le vette de' capegli
che vi pare attaccati mill'anegli.

Lei potrebbe reggere il paragone con un migliaio di belle cittadine, dato che con i suoi gesti e le sue dolci parole si fa apprezzare tra le persone; ha i suoi occhi più neri del carbone sotto quelle bionde trecce, e le punte dei capelli ricce, tanto che sembra che vi siano attaccati mille anelli.

8
Ell'è dirittamente ballerina,
che la se lancia com'una capretta,
girasi come ruota de mulina,
e dassi della man nella scarpetta;
quand'ella compie el ballo, ella se 'nchina,
po' se rivolge e duo colpi iscambietta,
e fa le più leggiadre riverenze
che gnuna cittadina da Firenze.

È una ballerina provetta e si lancia come una capretta, gira come la ruota di un mulino e tocca la scarpetta con la mano; quando balla si inchina, poi si gira e sgambetta due volte, e fa le riverenze più dolci di qualunque cittadina di Firenze.

9
La Nencia mia non ha gnun mancamento,
l'è bianca e rossa e de bella misura,
e ha un buco ento 'l mezzo del mento
che rabbellisce tutta sua figura;
ell'è ripiena d'ogni sentimento,
credo che 'n pruova la fesse natura,
tanto leggiadra e tanto appariscente,
che la diveglie el cuore a molta gente.

La mia Nencia non ha alcun difetto, è bianca e rossa e ben proporzionata, e ha una fossetta in mezzo al mento che dona bellezza a tutta la sua figura; è piena di ogni sentimento e credo che la natura l'abbia creata per dimostrare la sua abilità, così leggiadra e appariscente che strappa il cuore a tanti uomini.

10
Ben se ne potrà chiamare avventurato,
chi fie marito de sì bella moglie;
ben se potrà tenere in buon dì nato,
chi arà quel fioraliso sanza foglie;
ben se potrà tener santo e bïato,
e fien guarite tutte le sue doglie,
aver quel viso e vederselo in braccio,
morbido e bianco, che pare un sugnaccio.

Si potrà chiamare fortunato colui che sposerà una donna così bella; si potrà definire nato in un buon giorno, chi avrà quel fiordaliso senza foglie; si potrà dire santo e beato e saranno guariti tutti i suoi dolori colui che avrà quel viso e se lo vedrà tra le braccia, morbido e bianco che pare grasso di maiale.

11
Se tu sapessi, Nencia, el grande amore
ch'i' porto a' tuo begli occhi tralucenti,
e la pena ch'i' sento, e 'l gran dolore
che par che mi si svèglin tutt'i denti,
se tu 'l pensasse, te creperre' el cuore,
e lasceresti gli altri tuo serventi,
e ameresti solo el tuo Vallera,
che se' colei che 'l mie cuor disidèra.

Se tu sapessi, Nencia, il grande amore che provo per i tuoi begli occhi scintillanti, e la pena che sento e il gran dolore che sembra che mi cavino tutti i denti, se tu lo pensassi, ti si spezzerebbe il cuore e lasceresti gli altri tuoi spasimanti, e ameresti solo il tuo Vallèra, poiché tu sei quella che il mio cuore desidera.

12
Nenciozza, tu me fai pur consumare,
e par che tu ne pigli gran piacere;
se sanza duol me potessi cavare,
me sparere' per darti a divedere
ch'i' t'ho 'nto 'l cuore, e fare'tel toccare;
tel porre' in mano e fare'tel vedere;
se tu 'l tagghiassi con una coltella
e' griderrebbe: - Nencia, Nencia mia bella! -

Piccola Nencia, tu mi fai consumare e sembra che ciò ti dia gran piacere; se io potessi sventrarmi senza dolore, mi aprirei in due per farti vedere che io ti porto nel mio cuore, e te lo farei toccare; te lo metterei in mano e te lo farei guardare; se tu lo tagliassi con un coltello, esso [il cuore] griderebbe: "Nencia, mia bella Nencia!".

13
Quando te veggo tra una brigata,
convien che sempre intorno mi t'aggiri;
e quand'i' veggo ch'un altro te guata,
par proprio che del petto el cuor me tiri;
tu me se' sì 'nto 'l cuore intraversata,
ch'i' rovescio ognindì mille sospiri,
pien' de singhiozzi, tutti lucciolando,
e tutti quanti ritti a te gli mando.

Quando ti vedo in mezzo a un gruppo di amici, devo sempre aggirarmi intorno; e quando vedo che un altro ti guarda, sembra proprio che tu mi strappi il cuore dal petto; tu sei inchiodata dentro il mio cuore al punto che io emetto ogni giorno mille sospiri, pieni di singhiozzi, piangendo, e li mando tutti direttamente a te.

14
Non ho potuto stanotte dormire,
mill'anni me parea che fusse giorno,
per poter via con le bestie venire,
con elle insieme col tuo viso addorno;
e pur del letto me convenne uscire,
puosimi sotto 'l portico del forno,
e livi stetti più d'un'ora e mezzo,
finché la luna se ripuose, al rezzo.

Stanotte non ho potuto dormire, mi sembrava di dover aspettare mille anni che fosse giorno per poter uscire con le bestie e vedere, insieme con esse, il tuo bel viso; e alla fine son dovuto uscire dal letto e mi sono messo sotto il portico del forno, e son rimasto lì più di un'ora e mezza, al freddo, finché la luna è tramontata.

15
Quand'i' te vidi uscir della capanna,
col cane innanzi e colle pecorelle,
e' me ricrebbe el cuor più d'una spanna,
e le lagrime vennon pelle pelle;
eppoi me caccia' giù con una canna,
dirieto a' mie giovenchi e le vitelle,
e avvïa'gli innanzi vie quinentro
per aspettarti, e tu tornasti dentro.

Quando ti ho visto uscire dalla capanna, col cane davanti e con le pecorelle, il cuore mi si è gonfiato più di una spanna, e le lacrime mi vennero sotto la pelle; poi sono uscito con un bastone dietro ai miei giovenchi e alle vitelle, e li ho fatti  entrare qui dentro per aspettarti, e tu sei tornata dentro.

16
I' me posi a diacer lungo la gora,
abbioscio su quell'erba voltoloni,
e livi stetti più d'una mezz'ora,
tanto che valicorno e tuo castroni.
Che fa' tu entro, ché non esci fuora?
Vientene su per questi valiconi,
ch'i' cacci le mie bestie nelle tua,
e parrem uno, e pur saremo dua.

Mi sono messo a giacere lungo il fosso, abbandonato sull'erba e voltolandomi, e son stato lì più di mezz'ora, finché sono arrivati le tue bestie. Cosa fai lì dentro, perché non esci? Vieni su per questi sentirei, affinché io mescoli le mie bestie con le tue, e sembreremo una cosa sola pur essendo in due.

17
Nenciozza mia, i' vo' sabato andare
sin a Firenze, a vender duo somelle
de schegge, ch'i' me puosi ier a tagghiare
mentre ch'i' ero a pascer le vitelle;
procura ben quel ch'i' posso recare,
se tu vuo' ch'i' te comperi cavelle:
o liscio o biacca into 'n un cartoccino,
o de squilletti o d'àgora un quattrino.

Mia piccola Nencia, sabato voglio andare fino a Firenze, a vendere due fascine di legna che ieri mi sono messo a tagliare mentre portavo le vitelle al pascolo; dimmi cosa ti posso portare, se vuoi che ti comperi qualcosa: o del belletto [liscio o biacca] dentro un cartoncino, o degli spilli o un quattrino di aghi.

18
Se tu volessi per portare a collo
un collarin di que' bottoncin' rossi,
con un dondol nel mezzo, recherollo:
ma dimmi se gli vuoi piccini o grossi;
s'i' me dovessi tragli del midollo
del fusol della gamba o degli altr'ossi,
o s'i' dovessi vender la gonnella,
i' te l'arrecherò, Nencia mie bella.

Se tu volessi portare al collo una collanina di perline rosse, con un ciondolo al centro, te lo porterò, ma dimmi se le vuoi piccole o grosse; se anche dovessi tirarli fuori dal midollo dello stinco della mia gamba o dalle altre mie ossa, o se dovessi vendere la mia veste, te le porterò, mia bella Nencia.

19
Ché non me chiedi qualche zaccherella?
So che n'aopri de cento ragioni:
o uno 'ntaglio per la tuo gonnella,
o uncinegli, o magghiette, o bottoni,
o vuoi pel camiciotto una scarsella,
o cintol', per legarti gli scuffoni,
o vuoi, per amagghiar la gammurrina,
de seta una cordella cilestrina.

Perché non mi chiedi qualche gioiellino? So che ne porti di cento tipi: oppure un pizzo per la tua gonna, o fibbie, o bottoni, o vuoi una borsetta per la camicia, o dei nastri per legarti le cuffie, o vuoi una corda azzurra di seta per allacciarti la gonna.

20
Gigghiozzo mio, tu te farai con Dio,
perché le bestie mie son presso a casa;
i' non vorrei che pel baloccar mio
ne fusse ignuna in pastura rimasa;
veggo che l'hanno valicato el rio,
e odomi chiamar da mona Masa;
rimanti lieta, i' me ne vo cantando,
e sempre Nencia ento 'l mie cuor chiamando.

Mio piccolo giglio, tu te ne andrai con Dio, perché le mie bestie sono vicino a casa; io non vorrei che, a causa delle mie chiacchiere, qualcuna fosse rimasta al pascolo; vedo che hanno guadato il ruscello, e mi sento chiamare da Monna Masa; resta qui allegra, io me ne vado cantando, e chiamo sempre Nencia nel mio cuore.




LORENZO DE' MEDICI

O CHIARA STELLA, CHE CO' RAGGI TUOI [ torna al menu ]


O chiara stella, che co’ raggi tuoi
togli alle tue vicine stelle il lume,
perché splendi assai più del tuo costume?
[4] Perché con Febo ancor contender vuoi?

O stella luminosa, che con i tuoi raggi offuschi la luce delle altre stelle vicine, perché splendi molto più del solito? Perché vuoi gareggiare in luminosità con Apollo [il sole]?

Forse i belli occhi, quali ha tolti a noi
Morte crudel, ch’omai troppo presume,
accolti hai in te: adorna del lor lume,
[8] il suo bel carro a Febo chieder puoi.

Forse hai accolto in te i begli occhi [di Simonetta Cattaneo] che la Morte crudele, che ormai osa troppo, ci ha tolto: ornata della loro luce, puoi chiedere ad Apollo il suo bel carro.

O questa o nuova stella che tu sia,
che di splendor novello adorni il cielo,
[11] chiamata esaudi, o nume, e voti nostri:

Sia per questo o sia perché sei una stella nuova che con nuovo splendore abbellisci il cielo, invocata da noi, o dea, esaudisci le nostre preghiere:

leva dello splendor tuo tanto via,
che agli occhi, che han d’eterno pianto zelo,
[14] sanza altra offension lieta ti mostri.

attenua in parte il tuo splendore, in modo da mostrarti lieta e senza abbagliare ai nostri occhi, che hanno versato tante lacrime.



LORENZO DE' MEDICI

TRIONFO DI BACCO E ARIANNA [ torna al menu ]


Quant'è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Quant'è bella la giovinezza, che fugge continuamente! Chi vuol essere lieto, lo sia: non ci sono certezze del domani.

[5] Quest’è Bacco e Arïanna, 
belli, e l’un dell’altro ardenti:
perché ‘l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.
Queste ninfe ed altre genti
[10] sono allegre tuttavia. 
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.

Questi sono Bacco e Arianna, belli e innamorati l'uno dell'altra: poiché il tempo fugge ed è ingannevole, stanno sempre insieme felici. Queste ninfe e questi altri personaggi sono sempre allegri. Chi vuol essere lieto, lo sia: non ci sono certezze del domani.

Questi lieti satiretti,
delle ninfe innamorati,
[15] per caverne e per boschetti 
han lor posto cento agguati;
or da Bacco riscaldati
ballon, salton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia
[20] di doman non c’è certezza. 

Questi lieti satiri, innamorati delle ninfe, hanno teso loro cento agguati per caverne e boschi; ora, riscaldati dal vino, ballano e saltano continuamente. Chi vuol essere lieto, lo sia: non ci sono certezze del domani.

Queste ninfe anche hanno caro
da lor essere ingannate:
non può fare a Amor riparo
se non gente rozze e ingrate:
[25] ora, insieme mescolate, 
suonon, canton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.

Queste ninfe sono ben liete di subire gli agguati dei satiri: nessuno può respingere l'amore, se non persone rozze e sgraziate: ora, mescolate insieme, suonano e cantano continuamente. Chi vuol essere lieto, lo sia: non ci sono certezze del domani.

Questa soma, che vien drieto
[30] sopra l’asino, è Sileno: 
così vecchio, è ebbro e lieto,
già di carne e d’anni pieno;
se non può star ritto, almeno
ride e gode tuttavia.
[35] Chi vuol esser lieto, sia: 
di doman non c’è certezza.

Questo corpo pesante, che viene dietro sopra l'asino, è Sileno: pur così vecchio, è ubriaco e felice, già carico di carne e di anni; se non può stare dritto, almeno ride e gode continuamente. Chi vuol essere lieto, lo sia: non ci sono certezze del domani.

Mida vien drieto a costoro:
ciò che tocca oro diventa.
E che giova aver tesoro,
[40] s’altri poi non si contenta? 
Che dolcezza vuoi che senta
chi ha sete tuttavia?
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.

Mida segue costoro: quello che tocca, diventa oro. E a cosa serve avere un tesoro, se poi uno non si accontenta? Che dolcezza vuoi che possa sentire chi ha continuamente sete? Chi vuol essere lieto, lo sia: non ci sono certezze del domani.

[45] Ciascun apra ben gli orecchi, 
di doman nessun si paschi;
oggi siam, giovani e vecchi,
lieti ognun, femmine e maschi;
ogni tristo pensier caschi:
[50] facciam festa tuttavia. 
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.

Ognuno apra bene le orecchie, nessuno si culli nel pensiero del domani; oggi dobbiamo essere tutti felici, giovani e vecchi, donne e uomini; ogni pensiero triste sia deposto, facciamo festa continuamente. Chi vuol essere lieto, lo sia: non ci sono certezze del domani.

Donne e giovinetti amanti,
viva Bacco e viva Amore!
[55] Ciascun suoni, balli e canti! 
Arda di dolcezza il core!
Non fatica, non dolore!
Ciò c’ha a esser, convien sia.
Chi vuol esser lieto, sia:
[60] di doman non c’è certezza. 

Donne e giovani amanti, viva Bacco e viva l'amore! Ciascuno suoni, balli e canti! Il cuore arda di dolcezza! Non vi siano più la fatica, né il dolore! Ciò che deve accadere, accada pure. Chi vuol essere lieto, lo sia: non ci sono certezze del domani.




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