L'uomo che perse la memoria (Prima parte)

 



Billy era un uomo affascinante, sapeva di esserlo e molte donne cadevano letteralmente ai suoi piedi; lavorava come modello per la Fashion Style, una prestigiosa azienda di moda di New York, dove sfilava con abiti eleganti e raffinati. Quel martedì, però, il suo agente di moda, la severa Marilyn, che era anche la sua migliore amica, lo rimproverò ancora una volta di essere un uomo egocentrico e vanitoso, che pensava solo a se stesso. Marilyn era una donna brillante, di grande talento che puntava in alto nella sua carriera di agente di moda. Tuttavia era anche una persona onesta e umile, che non si faceva accecare dal successo. Con i suoi profondi occhi color mare, era molto espressiva e comunicativa. Aveva lunghi capelli biondi, folti e ricci, che le incorniciavano il viso. "Se non cambi atteggiamento - gli disse con voce dura - continuerai a far soffrire molte altre persone!" Lui, invece di ascoltarla, si limitava a sorridere con sufficienza e a pensare al suo aspetto. "E tu credi che mi importi qualcosa? - replicò con sarcasmo - Piuttosto, pensi che mi stia meglio la cravatta o il papillon?"

La pioggia cadeva incessantemente e mentre Billy aspettava impaziente il taxi per tornare a casa, un'automobile spuntò all'improvviso e lo travolse, facendogli sbattere la testa sull'asfalto. Era successo tutto a causa della distrazione del conducente, che stava rispondendo ad un messaggio sul proprio telefonino. Billy urlò dalla rabbia e dal dolore, mentre il conducente scendeva tremante dalla macchina. "Mi scusi, non l'ho vista. - mormorò con voce vacillante - Come sta? Vuole che le chiami un'ambulanza?" "No,- gli rispose imprecando - ma la prossima volta faccia attenzione e non usi più il telefono mentre è alla guida, potrebbe mettere in pericolo se stesso ed altre persone!"

Arrivato a casa, infreddolito e indolenzito, Billy si preparò per una delle sue solite serate. Il suo abbigliamento era sempre impeccabile e ogni sera sceglieva un diverso profumo inebriante. Nonostante la sua bellezza e il suo fascino, non era felice. Si sentiva solo e vuoto, e cercava di colmare la sua solitudine con uscite senza senso. Passò subito a prendere Kelly, una delle donne che era solito frequentare, e di colpo si trovò in un posto nuovo, una sala da biliardo, dove non era mai stato. "Chi sei?" Esclamò Billy alla donna, con voce confusa. Lei lo guardava basita e ferita. "Sono Kelly, non ti ricordi di me?- gli chiese - Abbiamo passato una notte insieme la settimana scorsa, ma forse per te non significa niente."
"Come sono arrivato fin qui? Dove siamo?" Domandò Billy, con voce ansiosa. I due erano appena arrivati al Birilhouse, un nuovo locale aperto da pochi giorni a Manhattan, ma Billy aveva un forte mal di testa e non ricordava nulla. Una cosa strana lasciò perplessa ancora di più la donna: Billy non riconobbe neanche il suo braccialetto. Non era un oggetto qualsiasi, glielo aveva regalato la donna che amava di più al mondo, sua madre, e tutte lo sapevano. Cosa poteva essere successo? Kelly lo guardò con preoccupazione e lo convinse ad andare al pronto soccorso. 
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Nel cuore della notte, arrivarono davanti a un gigantesco ospedale. Di fronte ai loro occhi si apriva un’ampia facciata di mattoni rossi, incastonata in una moderna struttura di vetro e di acciaio, con un lungo corridoio all'ingresso che sembrava quasi un labirinto illuminato da una luce bianca spettrale, dove si perdevano infinite voci. Con lunghi camici verdi e azzurri, ciabatte bianche e cartelline in mano, medici e infermieri correvano e sussurravano qualcosa, camminavano velocemente con occhi languidi, c’era un’altra percezione del tempo in quel luogo triste e tetro. Una donna dal viso pallido e stanco ricoperto di rughe, seminascosto da occhiali spessi e quadrati calanti sulla punta del naso, prendeva le generalità. “Come si chiama?” “Non lo ricordo” balbettò Billy con un’aria sempre più atterrita. L’infermiera gli sorrise e con un tono pacato gli disse di stare calmo, il dott. Henk, il primario di neurologia lo avrebbe aiutato di certo; uno specialista di altri tempi con uno strano tic alla bocca, ma un eccellente professionista, dai capelli brizzolati e le mani affusolate, che dopo averlo visitato decise di tenerlo sotto osservazione presso il suo reparto, al fine di escludere eventuali traumi cranici e poter effettuare una diagnosi chiara e precisa. Il dott. Henk era uno psichiatra stimato in tutto il mondo, visitava centinaia di pazienti alla settimana, ligio al lavoro, non si concedeva distrazioni o divertimenti. Era nato per fare quel mestiere e Billy, uno dei suoi casi più difficili, sarebbe guarito al più presto, ritornando probabilmente alla sua solita vita. Kelly, con il cuore in gola, mordicchiandosi le labbra, lo salutò, accarezzandolo e baciandolo sulle guance. Con le gambe che le cedevano, si voltò e socchiuse la porta. Amava moltissimo quell’uomo dai modi gentili e galanti. Billy, osservò la porta chiudersi davanti e, sdraiato sul letto con lo sguardo rivolto verso la finestra, si sforzava e tentava invano di ricordare chi fosse, fin quando esausto si addormentò.
                                                     

Il giorno seguente, appena seppe la notizia, Marilyn si precipitò di corsa in ospedale. I corridoi risuonavano dei passi affrettati dei medici e dei bisbigli delle infermiere. Marilyn, impaziente, in un batter d’occhio si ritrovò nella stanza, rallegrata da fiori rosa, fucsia, bianchi e rossi, che emanavano un piacevole profumo. "Ciao Billy, mi hai fatto spaventare. Come stai? Ne hai combinata ancora una volta una delle tue? Mi vuoi far morire di crepa cuore?” Billy la guardava confuso, toccandosi il cranio a causa di un forte dolore lancinante che lo tormentava. Mentre il suo sguardo vagava senza focus, un ricordo sfocato di una caduta gli attraversò la mente. “Mi scusi, chi è lei?” Interruppe l’amica che continuava a fargli domande come un inquisitore. Marilyn non riusciva a crederci; la situazione era peggiore di quanto immaginasse. Billy giaceva lì, vulnerabile come un bambino indifeso. Nei suoi occhi smarriti, un barlume di consapevolezza lottava per emergere, riflettendo la sua voglia disperata di afferrare ricordi sfuggenti e la silenziosa supplica di aiuto. Marilyn gli si avvicinò, prendendogli delicatamente la mano tra le sue. “Non preoccuparti,” gli sussurrò con un tono di voce deciso che nascondeva a malapena il suo turbamento, “andrà tutto bene.”
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Filomena Dattoli



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