Età preletteraria latina o periodo delle origini

Prima che nascesse la letteratura latina, c’è stato un lungo periodo in cui i Romani si esprimevano solo oralmente o con documenti non letterari. Questo periodo si chiama età preletteraria latina e va dal 753 a.C., anno della fondazione di Roma, al 240 a.C., anno in cui Livio Andronico scrisse e rappresentò il primo dramma teatrale in latino. Roma entrò in contatto con altri popoli che vivevano nella penisola italica, come gli Etruschi, i Sabini, gli Osci e i coloni della Magna Grecia. Da questi popoli, Roma assimilò elementi culturali e si diffuse una produzione di testi orali in tutto il territorio. La letteratura latina si ispirò in gran parte a quella greca, ma subì anche l’impronta degli Etruschi, che esercitarono il loro dominio su Roma per circa cento anni.

Il latino è una lingua appartenente alla famiglia indoeuropea. Già nel VI secolo a.C., nella Roma arcaica, si usava la scrittura. Tra i primi documenti linguistici latini, si possono citare: il Lapis Niger, una pietra nera con un’iscrizione bustrofedica, trovata nel Foro romano; il Vaso di Dueno, un recipiente con un’iscrizione molto antica e oscura, scritta da destra a sinistra; la Cista Ficoroni, una scatola di bronzo con scene mitologiche e una dedica in latino. Ci sono pervenute tracce delle Leges Regiae risalenti all’età monarchica e le Leggi delle Dodici Tavole, collocate intorno al 451-450 a.C. su dodici tavole di bronzo nel Foro romano, che rappresentavano importanti conquiste per i plebei . Un altro uso importante della scrittura era quello legato alla registrazione degli eventi del tempo. I Fasti indicavano i giorni dell’anno in cui era possibile dedicarsi agli affari pubblici e privati, senza impedimenti di carattere religioso. I Fasti includevano le liste dei magistrati che avevano ricoperto le principali cariche dello Stato romano, come i Fasti Pontifici, i Fasti Consolari o i Fasti Trionfali. Di anno in anno i Pontefici registravano gli eventi importanti negli Annales, che furono raccolti intorno al 123 a.C. dal Pontefice massimo Publio Muzio Scevola negli Annales Maximi. I Commentarii erano raccolte di stampo memorabile o memorativo, ad uso per lo più individuale, che potevano assumere il valore di documentazione pubblica se conservati o custoditi presso i Collegi sacerdotali. Tra le forme preletterarie si distingue il Carmen, caratterizzato da una cadenza data dall’uso di numerose figure di suono, come allitterazioni, assonanze, rime. Queste servivano a conferire solennità al testo e a facilitare la memorizzazione. Spesso veniva utilizzato il verso saturnio, un verso antico diviso in due parti da una pausa. La poesia sacrale occupava un ampio spazio nella cultura romana arcaica, come testimoniano il Carmen Arvale, il Carmen Saliare e il Carmen Lustrale, che erano preghiere in versi rivolte a diverse divinità. Tra le forme di espressione preletterarie, si possono ricordare l’Atellana, una farsa popolare con personaggi mascherati; i Fescennini, dei canti licenziosi e satirici di origine italica; i Ludi, dei giochi pubblici di vario genere, spesso legati a festività religiose; i Carmina Triumphalia, dei canti di lode e di scherno per i condottieri vittoriosi; i Carmina Convivalia, dei canti di circostanza eseguiti durante i banchetti; le Peniae, dei lamenti funebri intonati da donne assoldate; le Laudationes Funebres, delle orazioni in onore dei defunti pronunciate dai parenti nel Foro.

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